La vendetta è dolce, ma perdonare fa bene alla salute. Lo dice la scienza: chi perdona sta meglio in salute, è più sereno perché “volta pagina” e smette di provare risentimento, odio, rabbia.
Perdonare fa bene allo spirito e anche al corpo. Gli scienziati hanno le prove che perdonare fa diminuire il rischio di malattie cardiache e di disturbi mentali scatenati dal ricordo ossessivo di cosa ci ha fatto male. Perdonare si traduce fisicamente in un calo della pressione, umore più alto e un senso di benessere generale.
Da qualche anno in America è nata la “scienza del perdono”, perché il perdono è qualcosa che si può imparare allenandosi. Si può quindi imparare a guarire dalle ferite del rancore: l’importante è partire dalla consapevolezza che c’è un problema di fondo e affrontarlo.
COSA SIGNIFICA PERDONARE?
Perdonare non è sinonimo di giustificare, dimenticare o riconciliarsi.
- GIUSTIFICARE: Quando una persona giustifica un determinato comportamento, significa che si rende conto che l’autore del torto potrebbe aver avuto un valido motivo per fare ciò che ha fatto.
Chi perdona è in grado di “vedere” cosa è successo, senza “scusare” l’autore o minimizzare l’azione.
- DIMENTICARE: quando una persona dimentica qualcosa, smette di essere arrabbiato perché semplicemente non ricorda più oppure accetta passivamente quello che è successo. Chi perdona non dimentica, ma passa oltre.
- RICONCILIARSI:con la riconciliazione entrambi i protagonisti fanno la propria parte per avvicinarsi, in particolare colui che ha sbagliato deve fare dei passi avanti per ristabilire la fiducia. Non sempre avviene un avvicinamento dopo il perdono.
PERDONARE E’ SOPRATTUTTO UNA SCELTA (Enright e Kittle, 2000). Per perdonare veramente, una persona deve comprendere il significato del perdono e la sua importanza per sé e poi scegliere di rendere il perdono parte della sua vita.
LE FASI DEL PERDONO
Il perdono è un processo graduale, prevede una serie di fasi:
Prima fase: la scoperta (focus su di sé). E’ la fase di pre- perdono, ha lo scopo di favorire la presa di coscienza dell’ingiustizia e del danno subiti. È un momento emotivamente doloroso, perché la persona si rende consapevole delle proprie emozioni, rabbia, vergogna e del dolore derivante dall’offesa, delle difese attivate e di come siano un limite nel presente.
Seconda fase: la decisione (focus su di sé).La persona inizia a pensare al senso del perdono, a cosa rappresenta e a cosa non è. Si confronta sugli svantaggi derivanti dalla scelta di non perdonare e i possibili benefici del perdono. Inizia a considerare il perdono come un’opzione e può decidere, ad esempio, di abbandonare la vendetta e provare a lavorare sul perdono.
Terza fase: il lavoro (focus sull’altro). Ha l’obiettivo di rompere il meccanismo: danno- risarcimento- vendetta e guardare l’offensore da un’altra prospettiva, per poi sviluppare compassione ed empatia. La nuova visione non comporta arrivare a scusare l’offensore, ma a coglierne la sua vulnerabilità.
Quarta fase: il risultato (focus su di sé).La persona a questo punto può rifocalizzarsi su di sé e mettere a fuoco i vantaggi personali derivanti dal perdono in termini di benessere psicofisico (Enright et al. 1998).
Il modello proposto considera le fasi di sviluppo in questo ordine poiché la fase di scoperta di solito si verifica per prima ed è seguita dalla fase di decisione, e successivamente da quelle di lavoro e di approfondimento. Questo tuttavia non è un ordine rigido: è possibile, ad esempio, che qualcuno provi subito empatia per un trasgressore (fase di lavoro) e che successivamente si attivi l’esplorazione dei dettagli dell’ingiustizia e delle successive emozioni che si provano (fase di scoperta).
COME SI FA A PERDONARE L’IMPERDONABILE?
Alcuni traumi gravi – come la violenza fisica, l’assassinio, le mutilazioni dei conflitti etnici – risultano davvero imperdonabili: pensare di andare oltre può risultare impossibile, specie se il danno subito è vissuto come una ripicca, una provocazione.
In questi casi potrebbe essere già sufficiente arrivare ad una forma di ACCETTAZIONE, dove il perdono è un di più. In altri casi, quando il perdono arriva troppo facilmente, potrebbe nascondere altro, come il senso di colpa o la vergogna, che porta la vittima a prendere su di sé la responsabilità di una violenza: atteggiamento tutt’altro che terapeutico.
UN AIUTO DALLA PSICOTERAPIA
Nella vita di tutti i giorni possiamo sperimentare tante piccole e continue ferite: la capacità di perdonare può rappresentare una sorta di igiene mentale che predispone all’accettazione di sé e alla comprensione dell’altro, riparando e rendendo più fluidi i processi comunicativi.
In presenza di offese e di traumi significativi, può essere invece necessario un aiuto esperto, perché da soli facciamo fatica a elaborare ricordi bloccanti ed emozioni legate a vissuti molto intensi di paura, tristezza, rabbia e vergogna.
Chiedere aiuto è il primo passo per guarire dal rancore e tornare a vivere il presente.
Silvia Semprini – Psicoterapeuta e Mental Coach – Practitioner EMDR